Lo scarabocchio identitario di Sergio Blanco
In tempi di guerra, blocchi e nazionalismi ultrapompati, provo a dire perché il lavoro di Sergio Blanco (appena visto al Piccolo Teatro Grassi in “El bramido de Dusseldorf” e ieri …
Il linguaggio è una pelle: è come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole. Roland Barthes
Senza saperlo, ho cominciato a stringere “seriamente” una penna in mano alla fine delle Medie. Il tema per l’esame di stato – la storia avventurosa di due ragazzini che fuggono di casa per vivere sugli alberi, ispirata a Il Barone Rampante di Italo Calvino – mi appassionò a tal punto da consegnare a malincuore: stupendomi venni a sapere che era stato scelto per rappresentare la scuola a un concorso di scrittura per ragazzi. Perché lo racconto? Semplice: all’improvviso avevo vissuto il piacere unico di scrivere una storia che sgorgava dal profondo, venendo tra l’altro riconosciuta dal mondo dei grandi. A distanza di parecchi anni, posso dire che le molte esperienze nella vita e nella professione di giornalista non hanno intaccato quell’inclinazione fanciullesca a “illuminarmi” quando scrivo. A salire sugli alberi con penna e taccuino.
Un testo affrontato con dedizione, competenza e curiosità dimostra sempre che una storia scritta “a regola d’arte” è una luce che si accende nell’oscurità. E questo vale in ogni settore: dalla letteratura più raffinata al brand journalism d’assalto. Non cambia se si tratta di un racconto, di un articolo di car design, di un report di viaggio, di un house organ o di un’operazione di content marketing. Conta che l’interruttore scatti e potete credermi se vi dico che non è mai facile, come avrebbe capito quel ragazzo emulo delle fughe arboricole di Cosimo, il protagonista del Barone Rampante. La qualità è preziosa proprio perché richiede tempo e fatica e il “talento” non basta: è la lezione – “leggerezza, molteplicità ed esattezza” – che ci ha lasciato Calvino e può funzionare solo se stacchiamo i piedi da terra per arrampicarci sugli alberi.
25 racconti brevi, un peregrinare errabondo e sincopato in uno spazio enigmatico. Ho subito pensato a Kafka… Un andar lì per poi non essere. Enrico Palandri
I luoghi: portoni, strade, cattedrali, scale, aree, piazzali, palazzi, trincee, stalle, ascensori, corridoi, deserti. I personaggi: Piccoletto, Fata vecchia e Pinocchino, Tale, Il bassetto, Il grandone, Bella femmina, Donna mascherata, Il grigione, Il pienamente-se-stesso…”. Ho scritto “Titolo di viaggio” (Manni) un po’ di tempo fa: a quel tempo, la scrittura per me era una questione quasi “ontologica”. In seguito è rimasta una cosa importante e dal fascino misterioso ma tra (e con) le altre, non più sopra. A distanza di anni, questi racconti esplorano, forse con ancora una certa originalità, quel modo totalizzante di vivere l’avventura creativa.
Tutti sono capaci di complicare. Pochi di semplificare. Bruno Munari
E quindi amo scrivere storie. Ma questo, come sappiamo, può significare tutto e niente. Personalmente mi reputo un “cacciatore” testardo del quid che si cela nel linguaggio. Le persone, ma anche le aziende, hanno molte più cose da dire di quanto emerga o riescano a comunicare: ecco perché gli serve uno storyteller che capisca la “posta in gioco” e inforchi ago e filo per cucire un “tessuto narrativo” su misura.
Da “narrative designer”, diviso tra servizi giornalistici e la realizzazione di progetti di comunicazione on e offline, punto sempre sull’essenziale-funzionale. Vale per molte sfere di attività e settori, che coltivo con lo stesso impegno e profitto: brochure, campagne stampa, ghost writing e volumi speciali per privati; case history e profili aziendali, content/project managing per il web. La vera creatività? Non ha limiti o preferenze.
La chiave? Puntare alle esperienze autentiche, quelle che sempre più difficilmente emergono nelle narrazioni contemporanee, poco coraggiose e stereotipate. È l’unico modo realmente efficace che conosca: se vogliamo che i nuovi clienti “evoluti” si focalizzino su di noi nell’era dell’Internet-delle-cose, dei prosumer e della comunicazione omnichannel H/24, dobbiamo impegnarci di più e dire chi siamo davvero con un messaggio coerente e credibile. Alla fine, questo gioco di “pesi e sfumature” nella comunicazione è molto più efficace dei trilioni di post identici sui social network, reclamanti invano attenzione al Villaggio Globale.
È vero, sono un “nomade professionale”. Ma è proprio grazie a questa irrequietezza che mi ritrovo Writer e Project Editor per Condé Nast con rubriche di design, auto e viaggi, occupandomi di esperienze lifestyle innovative e stimolanti. Altri miei progetti riguardano gli spettacoli, la cultura e l’innovazione. Non solo editoria però, ma tanto lavoro con le aziende e in campi diversi: dal design/architettura, agli orologi di pregio è la galassia interconnessa delle mie attività a raccontarmi meglio di un’etichetta. Coltivo un arricchimento professionale ragionato ma libero. È il bello della nuova globalizzazione: confini e orizzonti cangianti.
La fantasia è un posto dove ci piove dentro. Italo Calvino
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