Il Ministero della Solitudine, distopia e nuova transumanza
Dopo “Anatomia di un suicidio”, ultimo lavoro sul tema del femminile, lacasadargilla torna al Teatro Grassi con una pièce appena anteriore, del 2022, che ne anticipa i temi. “Il Ministero della Solitudine“, con la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, e la drammaturgia di Michele Sinisi.
La scrittura è innescata da un fatto di cronaca del 2018, quando in Gran Bretagna venne istituito un vero Ministero della Solitudine per occuparsi di questa nuova piaga collettiva. La scena, smaterializzata, è costituita da una piramide cangiante a tre facce che restituisce gli interni dei cinque protagonisti, Alma, F., Primo, Simone, Teresa, che danno vita ad altrettanti monologhi che solo incidentalmente collidono tra loro. Accanto, un piccolo desk e un’altra postazione di lavoro. Sulla parete in fondo, tubi di neon algido si accendono e spengono ordinati come in un’installazione di Bruce Nauman, a sottolineare come il lavoro in fondo sia un ibrido tra teatro e performing art, un linguaggio sperimentale.
Il ministero inglese d’antan viene deterritorializzato e reso un archetipo del nostro nuovo mondo. Una specie di numinosa entità kafkiana a cui alcuni dei protagonisti della pièce si rivolgono per avere lavoro, consolazione, terapia o solo per cercare qualcuno che ascolti. Ma se scomodiamo il praghese è perché lui più di altri scrisse di alienazione e di misteriose ma vere presenze, anche statali, che si occupano di ingarbugliare la vita ancor di più. Dei ministeri, insomma, come scrisse George Steiner.
Ma il vero fulcro della drammaturgia, come scrive lacasadargilla nelle note, è lavorare sulle pastoie del desiderio, e sulla solitudine come suo sintomo manifesto. Siamo soli perché non sappiamo più i nostri desideri. Non avendo dei desideri “reali”, il corpo desiderante trascende lacanianamente in un set terapeutico analitico sui generis, perché non c’è nemmeno un evidente désir di guarigione nei personaggi. Ancora una volta Kafka, i cui personaggi sono tutti lacerati da desideri latenti e sommersi, che affiorano saltuariamente in maniera distruttiva.
I 5 in scena si muovono come automi di carne, alternando stati d’animo che vanno dalla cupa disperazione a uno stato di esaltazione maniacale. I monologhi si sovrappongono e restituiscono la cifra comunicativa dell’essere umano en solitude, incapace di ascoltare l’Altro. Eppure non c’è pesantezza a parte la dichiarata pesantezza dell’ensemble. Stacchetti danzanti nevrotici su canzoni rockeggianti di decadi diverse restituiscono un’azione sincopata e ripetitiva, ma gestita ad artem dalla drammaturgia di Sinisi, attenta a soppesare ogni termine – e dalle scelte di regia, che muovono in questo limbo distopico i cinque sventurati agiti dal numen contemporaneo. E poi il conflitto, che esplode in piccole colate laviche, lavate via dalle canzoni.
Raramente abbiamo visto una simbiosi scenica così ben concretata come quella realizzata da Giulia Mazzarino, Francesco Villano, Emiliano Masala, Tania Garriba e Caterina Carpio. Danzano esilmente tra loro senza danzare insieme e senza sapere di volerlo fare. Che poi è il leit motiv della pièce. Ecco, se il tema della solitudine in fondo non è nuovo, il modo di renderlo da questa pièce ci porta in un nouveau monde dove all’utopia è stabilmente subentrata la distopia.
Se l’utopia è il sogno (desiderio) di cambiare il mondo, la distopia è la sua negazione. Siamo soli perché non sappiamo più desiderare il mondo, perché è il mondo che desidera per noi. E il legame di Primo con Marta, una real doll “seducente”, ci dice proprio questo: non siamo più umani, la mutazione antropologica è in corso, siamo come i replicanti di Philip Dick. Lavori in pelle. Sogni cibernetici di un algoritmo che decide al posto nostro.
È un lavoro aspramente e splendidamente contradditorio questa pièce, perché se il pessimismo è manifesto (dietro ci sono i lavori antecedenti sulla catastrofe ambientale) con l’estinzione di massa come destinazione verosimile della distopia, la pièce trabocca di singulti, grida soffocate, enfasi sgangherate, distorsioni paranoidi, leggiadri abbrutimenti ma sempre con una gestualità accordata che ci fa pensare che l’arte e il teatro, per una sera, siano il solo farmaco per alleviare questa transumanza catastrofica. E non nel senso di un narcotico, ma di un morituro che scrive una bella, bellissima, lettera all’umanità prima di scomparire, chiedendo per l’ultima volta ascolto. E per tutto questo gli perdoniamo il finale, balbuziente.
Il Ministero della Solitudine
uno spettacolo di lacasadargilla
parole di e con
Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano
drammaturgia del testo Fabrizio Sinisi
regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni
drammaturgia del movimento Marta Ciappina
cura dei contenuti Maddalena Parise
spazio scenico e paesaggi sonori Alessandro Ferroni
luci Luigi Biondi
costumi Anna Missaglia
aiuto regia Caterina Dazzi / Alice Palazzi
assistente al disegno luci Omar Scala
assistente volontaria alla regia Laura Marcucci
produzione Emilia Romagna Teatro ERT /
Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato.