Sulla morte occorre parlare (e fare teatro)

In quello che ormai è il “teatro di casa” (dei veri protegé di A. R. Shammah), il Franco Parenti, la compagnia dei Gordi torna ad affrontare il suo tema d’elezione, che è la morte, alla luce anche del primo spettacolo che li ha fatti conoscere a metà degli anni Dieci, “Sulla morte senza esagerare“, uno spettacolo in cui a essere protagoniste erano delle grandi maschere surrealiste di cartapesta, che aiutavano lo spettatore a uscire dal problema di identificarsi con i morituri.

Note a margine, loro ultima produzione, invece, è senza maschere – il primo spettacolo che ne è interamente privo – e si occupa della fine dalla prospettiva dell’ultimo viaggio, del saluto al caro estinto. E lo fa con una piccola ma gigantesca ambizione, quella di creare una “tragicommedia”. Ovvero un linguaggio in cui si ride ma sapendo di ridere su un fatto esiziale, su una situazione limite. Mischiare le risa al pianto richiede un atteggiamento particolare, perché ridere della morte si può e forse anche si deve, ma occorre farlo in modo misurato.

In realtà, il tentativo dei Gordi è di andare oltre l’antica cautela in maschera della vecchia pièce. Qui i personaggi sono reali, benché tutte o quasi macchiette, che nel venire a dare l’ultimo saluto a una giovane madre, Claudia, rivelano i loro tic. Quindi lo spettacolo, a ben vedere, si concentra più sulle nevrosi e storture comiche dei personaggi che sul defunto, almeno fino al momento in cui il fantasma entra in scena con una bambina.

Un amico ha composto una poesia infarcita di retorica e piange in maniera smodata mentre la sua compagna la legge sbagliando le parole. Bacia compulsivamente il corpo, che non vediamo, nella bara aperta per l’estremo saluto. A gestire il tutto il compagno, sempre al telefono impegnato in lunghe telefonate in cui ripete sempre la stessa cosa, e dal fratello, invece impietrito dal dolore. Un bizzarro impiegato delle pompe, che cerca di essere efficiente e disponibile ma con l’effetto di essere meccanico e inumano, manda avanti l’affaire facendo un sacco di pasticci. Candele elettriche si accendono e spengono, bottiglie vengono stappate, equivoci e piccoli incidenti, il grottesco dilaga e trova la sua apoteosi con l’ingresso in scena dei due amici motociclisti, che presentano un video demenziale con foto della defunta e finiscono per generare un gran casotto che piace e dispiace ai familiari.

A quel punto la pièce va in vacca, ovvero entra in un cortocircuito demenziale, come nel celebre film “Hollywood Party”: l’amica santona cosparge di incenso tutto e tutti, la macchinetta del caffè si rompe, e, momento super esilarante, uno dei due motociclisti vuole dire due parole in tedesco e finisce per sparare minchiate in italiano. Nell’apice di questa demenza sfrenata l’irruzione della figlia, una bambina di 9-10 anni e del fantasma di Claudia, hanno l’effetto di spazzare via l’ondata demenziale, almeno fino a un certo punto. La bambina che ha perso la madre e si stringe col padre schiacciata dal dolore, complica il registro del comico, lo “sporca” intenzionalmente, obbligando lo spettatore a tornare alla verità della morte, cioè al vuoto, alla separazione, all’addio. Il fantasma che per l’ultima volta si congeda anche lui dalla vita e dai suoi affetti, ne rinforza la visione laica e terrena, umana… e l’importanza di salutarsi, del congedo, ma anche la durezza di questi momenti e la forza che non c’è ma si deve trovare.

Dice Riccardo Pippa, regista della pièce, sul significato di Note a margine. “Andare oltre la finitudine delle cose. Non è solo l’assunzione della fine, ma il ricercare anche teatralmente il modo di affrontare e di agire rispetto alla condizione di partenza. Le note a margine sono tutti quei tentativi di smarginare, di superare ciò che essendo limitato, finisce”.

I Gordi sono evidentemente ossessionati dalle zone limite, come la morte, perché lì possono indagare col loro linguaggio dolcemente irriverente, la psiche collettiva e il corpo sociale del nostro tempo. La loro forza è anche la loro debolezza, e alla fine una grande coerenza: lavorando sugli interstizi, sui e tra i puntini di sospensione, non pensano nemmeno di suggerire risposte. Il loro teatro è tutto un abitare la domanda (di senso) senza osare, per consapevole pudore (?), mai una risposta. Può non essere abbastanza, allo spettatore il verdetto.

Per finire, il loro teatro è destrutturante in positivo, un esercizio di annichilimento delle sovrastrutture sociali e psichiche per cercare grotowskianamente, l’essenza dell’umano, che, appunto, per loro, non è mai data, ma resta un’istanza da indagare ogni volta col medium del teatro. Alla fine, i Gordi sono un’ex giovane compagnia che, approdando alla maturità, porta avanti un teatro filosofico. E noi gli auguriamo di andare avanti così.

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NOTE A MARGINE

I Gordi / Teatro Franco Parenti
regia Riccardo Pippa
con Claudia Caldarano, Cecilia Campani, Daniele Cavone Felicioni, Antonio Gargiulo, Zoe Guerrera, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Maria Vittoria Scarlattei, Matteo Vitanza
scene Anna Cingi
disegno luci Alice Colla
costumi Ilaria Ariemme
cura del suono Luca De Marinis
elettricista tournée Alice Colla

assistente volontaria alla drammaturgia Federica Cottini
assistente volontaria ai costumi Melina Koschier
direttore dell’allestimento Marco Pirola
sarta Marta Merico
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni

produzione Teatro Franco Parenti / TPE – Teatro Piemonte Europa / LAC Lugano Arte e Cultura

con il sostegno di Next-laboratorio delle idee per la produzione e la distribuzione dello spettacolo dal vivo